«Lo scenario di questa triste, misteriosa e, aggiungeremmo, traculenta storia, è la ridente e operosa città di Oporto. Proprio così la nostra portoghesissima Oporto, dolce città accarezzata da docili colline e solcata dal placido Douro», così scrive Antonio Tabucchi nel suo romanzo La testa perduta di Damasceno Monteiro (Feltrinelli), le cui vicende si svolgono a Porto.
Nato a Pisa nel 1943, Antonio Tabucchi è morto nel 2012 a Lisbona, città in cui ha a lungo vissuto. Damasceno Monteiro, spiega Tabucchi nella nota al romanzo ambientato a Porto, è in realtà il nome di una via di un quartiere popolare di Lisbona dove lo scrittore ha vissuto per un periodo. La trama del romanzo prende origine da un fatto di cronaca realmente avvenuto nella Capitale portoghese e, sotto le vesti di thriller, queste sue pagine denunciano i grossi problemi sociali quali l’abuso poliziesco, la tortura, la marginalità sociale delle minoranze etniche. Questo romanzo di Tabucchi è però anche uno dei pochi lavori in cui l’autore descrive Porto. La fa attraverso il suo personaggio principale, un giovane inviato di un giornale popolare giunto nella città portuale per seguire tutta la vicenda di uno strano delitto.
Firmino, questo il suo nome, non prova simpatia per Oporto: mentre il taxi che lo conduce in città, attraversa Praça da Batalha, una piazza nobile, austera, in stile inglese, egli ricorda tutte le vacanze di Natale qui trascorse, in visita dagli zii, e giunge alla conclusione che l’antipatia per Oporto «era un’eredità della sua infanzia, forse Freud aveva ragione».
Firmino, al suo arrivo, decide di documentarsi sulla città ed ecco che Tabucchi, attraverso le sue pagine, ci suggerisce un’interessante pubblicazione: il suo protagonista entra in una grande libreria e si orienta su un libro pubblicato di recente, «di un bell’azzurro, con magnifiche fotografie a colori. L’autore si chiamava Helder Pacheco, e oltre a dimostrare un’enorme competenza rivelava uno sconfinato amore per Oporto. Firmino detestava le guide tecniche, impersonali e obiettive, che danno informazioni fredde. Preferiva le cose fatte con entusiasmo, anche perché lui aveva bisogno di entusiasmo, nella situazione in cui si trovava».
Helder Pacheco, noto per le sue pubblicazioni sulla città di Porto, non poteva di certo ricevere miglior recensione (qui proponiamo la copertina di uno dei suoi libri più recenti).
«Così, munito di quella guida, si mise a girovagare per la città divertendosi a cercare sul libro i luoghi dove i suoi passi vagabondi lo conducevano. Si trovò in Rua S.Bento da Vitória, e il luogo gli piacque, soprattutto perché, con quel caldo, era una via scura, fresca, dove il sole sembrava non penetrare. Cercò il luogo sull’indice, che era di facile consultazione, e lo trovò subito a pagina centotrentadue. Scoprì che anticamente quella via si chiamava Rua S. Miguel», ed era stata abitata da ministri, cancellieri e alti notabili. A testimoniare questo ricco passato oggi solo frontoni e capitelli di stile ionico «che ricordavano l’epoca nobile e fastosa di quella via, prima che le intemperie della storia la trasformassero in una via plebea come era attualmente».
Man mano che si procede con la lettura del romanzo e l’inchiesta va avanti, Firmino continua nella sua esplorazione della città e si accorge che «veramente Oporto manteneva certe tradizioni che Lisbona aveva ormai perduto»: attraversa Praça de Alegria, «che era davvero allegra come diceva il nome», arriva fino al Largo do Padrão, e poi alle Fontainhas, dove trova un piccolo mercato delle pulci. Qui scova un libro che gli svela tante curiosità sulla città compreso che sui giornali locali, un tempo, apparivano gli annunci dei trippai,in quanto considerati di pubblica utillità e così « Firminio sentì un’ondata di simpatia per quella città per la quale aveva provato, senza conoscerla, una certa diffidenza».
La scoperta della città continua. Le vicende lo conducono alla Ribeira in Rua dos Canastreiros, «e qui si apre un altro scenario della ridente e operosa città di Oporto, per il quale la penna del vostro inviato è inadeguata, perché sarebbe necessario un sociologo, un antropologo: cosa che il vostro giornalista non è. Questa Ribeira, la zona più popolare della città, la gloriosa Ribeira che appartenne agli artigiani, ai bottai, al popolo minuto dei secoli passati, adagiata sulle rive del Douro; questa Ribeira che certe superficiali guide turistiche cercano di contrabbandare come il luogo più pittoresco della città; ebbene cos’è effettivamente, questa Ribeira? Il vostro inviato non vuole fare retorica a buon mercato, non vuole ricorrere a esempi letterari, e sospende il giudizio. Si limita a descrivervi la casa, chiamiamola così, una casa come ce ne sono tante nella Ribeira, che appartiene alla famiglia della vittima».
Firmino durante il suo soggiorno a Oporto passò per Rua das Flores che «era una bella strada, insieme elegante e popolare. Il tono popolare era dato dai davanzali fioriti di gerani, che forse erano all’origine del nome, e l’eleganza dai negozi di gioiellieri con ricchissime vetrine»; ebbe modo di notare che l’Avenida de Montevideu, che si congiungeva con l’Avenida do Brasil, formava un lungomare lunghissimo, molto più lungo di quanto Firmino si era immaginato, e a lui non restava che percorrerlo […] c’era una bella brezza atlantica che faceva sventolare le bandiere di un grande albergo. Il lungomare, per lo meno all’inizio, era affollato di gente […] Notò che la zona iniziale affollata e popolare sfumava via via in una zona più solitaria e aristocratica, fatta di ville austere e di edifici del primo Novecento, con balconi inferriati e decorazioni di stucco. L’oceano era abbastanza arrabbiato e le onde violente si infrangevano sulla scogliera».
Nelle pagine finali del romanzo, dopo una serie di vicissitudini e suggestioni, e dopo un periodo di assenza, Firmino torna a Porto e ne ricava una nuova e definitiva impressione: «Com’era diverso vedere una città con una bella luce e con un sole sfavillante. Firmino si ricordò dell’ultima volta che aveva visto quella città, quel giorno nebbioso di dicembre, quando gli era sembrata così tetra. Ora invece Oporto aveva un’aria allegra, vitale, animata, e i vasi sui davanzali di Rua das Flores erano tutti fioriti».
L’ha ribloggato su l'eta' della innocenza.