Non lasciatevi ingannare dalla copertina del volume Shakespeare non l’ha mai fatto (Feltrinelli) di Charles Bukowski: questo racconto di viaggio dello scrittore tratta la Francia in maniera marginale. Buona parte delle pagine è dedicata alla Germania, il paese in cui Bukowski nacque, ad Andernach, lungo il Reno, il 16 agosto 1920, e che lasciò all’età di 3 anni con il trasferimento della famiglia negli Stati Uniti.
Shakespeare non l’ha mai fatto è il resoconto unificato di due viaggi europei intrapresi alla fine degli anni settanta in cui Bukowski ebbe modo di visitare Parigi, Nizza, Mannheim, Heidelberg, Andernach, Colonia, Amburgo. Le pagine che mi colpiscono riguardano la Germania anche se lui stesso ammette, con parole che non possono che essere sue, di non essere stato proprio preciso nelle sue descrizioni: «Che scrittore del cazzo ero stato, non avevo annotato i nomi delle città e dei posti, le vedute, le sensazioni e i sentimenti grandiosi».
Ma come ben evidenzia Simona Viciani nella postfazione al volume «in queste pagine trapela il profondo dualismo radicato nel carattere di Bukowski, che si sentiva tedesco negli Stati Uniti e americano in Germania. Questo squilibrio destabilizzante di carenza di radici è il suo punto di forza, ma allo stesso tempo indice di delicata fragilità o, come usava chiamarla lui, “splendida insicurezza”, che lo faceva sentire sempre in bilico, straniero ai margini del mondo».
Ad Andernach lo scrittore andò a trovare uno zio novantenne che si scusò con lui per il suo inglese limitato, Bukowski quindi osserva: «il poco tedesco che sapevo usciva da un libro per turisti e mi imbarazzava sempre quando la gente diceva: “Scusa il mio inglese”, perché io non sapevo neanche la metà di quello che sapevano loro […] una volta parlavo tedesco, adesso non più». Subito dopo aggiunge una descrizione della casa e di alcune abitudini, che chi ha vissuto atmosfere domestiche in Germania può riconoscere: «Stava entrando Louisa con tanti tipi di dolcetti e di torte. Il caffè era sul fuoco. La casa era uno specchio, secondo la tradizione tedesca, così come lo erano torte e caffè. Mi ricordava i miei genitori, mia nonna – c’erano sempre torte e caffè, tovaglie immacolate e tovaglioli, e il servizio buono di posate e piatti. C’era sempre anche una grande varietà di pane e di carne, e il burro. Era il momento in cui ci si sedeva e si parlava con calma delle cose; era la pausa nella battaglia della vita; era essenziale ed era bello».

Bukowski in Germania aveva anche un importante appuntamento professionale, ad Amburgo era infatti atteso per un reading (vedi immagine di copertina): «come sempre non mi piacevano i reading di poesia; mi ubriacavo e litigavo con il pubblico. Non ho mai scritto una poesia per leggerla, però accidenti pagava l’affitto. Tutti i poeti che ho conosciuto, e ne ho conosciuti fin troppi, amavano tenere reading. Mi sono sempre considerato il tipo solitario, l’emarginato, ma i miei fratelli poeti sembravano essere molto estroversi, molto socievoli. Non mi piacevano, li evitavo […] Il biglietto per la Markthall quella sera costava dieci marchi. Il tizio all’ingresso voleva farmi pagare. Gli ho detto che ero io il poeta. In seguito mi hanno detto che hanno mandato via trecento persone. Sono riuscito ad attirarne milleduecento in un locale che aveva solo ottocento posti a sedere. Ho poi saputo che Günter Grass aveva tenuto un reading lì ed erano venuti solo in trecento. […] Sono entrato. C’era tanto fumo, si vedeva il fumo salire in aria. Il pubblico era ubriaco e drogato e sobrio e folle. […] Il tavolo dove dovevo leggere era lontano, giù in basso, illuminato in modo accecante, circondato da telecamere e da microfoni[…] mi sentivo debole. Avrei voluto essere all’ippodromo o a casa seduto a bere e ad ascoltare la radio o a dare da mangiare al mio gatto, a fare qualsiasi cosa, dormire, fare il pieno di benzina, perfino andare dal dentista. Tenevo Linda Lee per mano, quasi terrorizzato. […] La folla era imponente, animalesca, in attesa […] Più mi avvicinavo al palco più la folla mi riconosceva. “Bukowski! Bukowski!” Cominciavo a credere di essere sul serio Bukowski. Non avevo scampo. Appena ho messo un piede sul legno del palco ho sentito una scarica in tutto il corpo. La paura è svanita. Mi sono seduto, ho preso la bottiglia di buon vino bianco tedesco dal secchiello del ghiaccio e l’ho stappata. Mi sono acceso un Bidi. Ho assaggiato il vino, ho preso le poesie e i libri dalla cartella. Finalmente ero calmo. L’avevo già fatto altre ottanta volte. Tutto era sotto controllo. Ho trovato il microfono».
Riguardo alla stesura di questo suo scritto ci confida: «Mi avevano chiesto di scrivere un libro sul viaggio, e avevo detto: “Sì”, e per un uomo che odiava viaggiare era un compito dannatamente difficile».