Chi ha già letto e apprezzato i personaggi e la scrittura di Nicola Lecca, può dedicarsi alla lettura del suo ultimo romanzo, Il treno di cristallo (Mondadori), con la certezza di trovarvi espressa, pagina dopo pagina, la profonda sensibilità dell’autore.
Il giovane protagonista del romanzo, Aaron, intraprende un lungo viaggio in treno e ogni luogo rappresenta una tappa, una prova del difficile viaggio di formazione che sta compiendo per trovare se stesso, andando alla ricerca delle sue origini. Nelle pagine finali del libro, di cui non vi anticipiamo nulla, maturazione e conoscenza coincidono e rappresentano l’inizio di una nuova vita.
Spesso le parole di Aaron sembrano riflessioni dello stesso Nicola; forse alcune impressioni del protagonista ci raccontano suggestioni raccolte dallo scrittore durante le sue visite, realmente avvenute, nei tanti luoghi menzionati nel romanzo, fra cui Broadstairs, il villaggio della costa inglese in cui Aaron cresce, Dover, Brighton, Amburgo, Praga, Bratislava, Lubiana, Zagabria.
Ma il talento di Nicola Lecca si rivela anche nell’autonomia che egli regala ai suoi personaggi i quali crescono, maturano, diventano adulti.
Lo sguardo di Aaron all’inizio del libro è ancora incantato, quasi inconsapevole: «Aaron ha imparato a emozionarsi di tutto: allenando gli occhi a scorgere la meraviglia ovunque e a smaltare di entusiasmo le brutture della povertà». Nel corso di questo lungo viaggio in treno, i suoi occhi continuano ad allenarsi, ma questa volta per raggiungere una nuova e determinata consapevolezza, dettata dall’urgenza della sincerità. Gli occhi di Aaron imparano a decidere. Un bel messaggio quello dell’autore che nel corso del libro invita i lettori, giovani e meno giovani, a cercare dei rapporti umani autentici, non filtrati dall’ipocrisia digitale (quanto è attuale e urgente questo tema!)
Nicola Lecca è fratello maggiore dei suoi personaggi, li accompagna nella loro crescita, ne traccia il ritratto, ne esplora le complessità, li anima.
Sarebbe interessante approfondire il perché di luoghi, letture e brani musicali, per tracciare una mappa interiore dell’autore: se in Hotel Borg era stata travolgente e determinante la scelta dello Stabat Mater di Pergolesi, qui risulta decisivo e rivelatore il carattere quasi ossessivo della celebre Hammerklavier di Beethoven;
lo sguardo del protagonista sembra essere lo sguardo di Nicola Lecca, curioso e aperto, rivolto ai luoghi e alle persone dai caffè di mezza Europa, con un amore qui dichiarato ed espresso per la città di Zagabria.
Le citazioni di Majakovskij, tratte dal noto componimento All’amato se stesso dedica questi versi l’Autore (1916) che introducono ogni parte del libro, e i molteplici riferimenti musicali che troviamo nel corso della lettura fanno parte di un’orchestra di elementi, tutti sempre fondamentali nella scrittura dell’autore. Questi elementi, sapientemente intrecciati con la cura e l’attenzione che egli riserva sempre alla parola, regalano a noi lettori un meraviglioso viaggio in quello che, ormai, possiamo definire il mondo di Nicola Lecca. Il suo è un grande amore per la parola. Quelle da lui scelte, cercate, selezionate, si ascoltano come buona musica, si vedono come fossero dipinte, si percepiscono nel profondo, come poesia. E raccontano in maniera elegante un universo di fragilità solo apparente. Quel grido di infelicità che appartiene ad alcune figure del romanzo trova il suo opposto nel sogno di felicità a cui tutti devono e possono aspirare.
Un bel viaggio in treno questo con Aaron, sì, dovete proprio salire a bordo.