«Non avendo nient’altro da fare, sostituì le pantofole con un paio di stivali delle sette leghe per incamminarsi verso il suo personale palazzo delle idee: la città di Londra. Vigorose passeggiate notturne di una ventina di miglia erano il suo rimedio più fidato per la sua mente in subbuglio, perché restare a rigirarsi nel letto non serviva a niente; nel buio, l’irrequietezza vivida della città rispecchiava alla perfezione la sua. Fin dai primi giorni come scrittore, l’intera città si era dimostrata per lui non soltanto una fedele compagna, ma anche una panacea, di giorno e di notte, persino con il tempo più inclemente. Perché Londra perdonava sempre. Dickens ne portava impressa nel cervello l’intera mappa, il groviglio di strade e piazze, vicoli e stradine acciottolate, un atlante della sua stessa anima. Una lanterna magica pronta a illuminare tutto ciò che lui era, le sue paure, i suoi più ardenti desideri. Londra era la sua immaginazione: ne era la scintilla, il combustibile, la fiamma. Dai più prestigiosi Inns of Court ai peggiori bassifondi. Dickens aveva trovato lì i suoi libri, e riempito il suo museo mentale di ogni immagine, odore, suono o sensazione che sembrasse degno di essere conservato. Ma lì aveva anche trovato sé stesso».
Samantha Silva con il suo romanzo Il canto di Mr Dickens (edito da Neri Pozza, traduzione dall’inglese di Daria Restani) ci regala le atmosfere dell’universo dickensiano in una favola tutta natalizia. Le prima pagine ti catturano, poi la narrazione rallenta il suo ritmo per regalare un gran finale e riportarci nell’atmosfera suggerita nella parte iniziale del romanzo. Ma le pagine più intense sono quelle dedicate al rapporto unico dello scrittore con la sua Londra. Samantha Silva ci accompagna in queste passeggiate da lei immaginate e narrate per farci riscoprire alcuni dei luoghi che appartengono alla geografia letteraria di Dickens, per esempio la casa al numero 58 di Lincoln’s Inn Fields che «era famosa per essere una sorta di caverna magica, il fulcro della vita letteraria di Londra, un rifugio per scrittori, illustri o ancora sconosciuti, che erano certi di poter trovare in quelle stanze il calore del fuoco, del vino e degli amici, nonché la corpulenta ma benevola ed energica presenza dell’egregio John Forster. Quella casa era il massimo che si potesse desiderare – in parte circolo privato, in parte biblioteca – con le più belle edizioni dei libri a rivestire ogni centimetro di parete, persino in bagno. C’erano acqueforti e dipinti a olio, poltrone e folti tappeti. Era una casa che profumava di cuoio, libri antichi e manzo bollito». Un luogo che nel corso del romanzo si rivela fondamentale, a cui Dickens torna forse per caso o per istinto, è Furnival’s Inn. Nel romanzo leggiamo: «L’edificio, in passato residenza di Lord Furnival, si era da tempo accontentato del più umile ruolo di ristorante e albergo, dove un gentiluomo poteva ancora cenare a un prezzo onesto, seppur in compagnia di avventori meno raffinati di un tempo. Dickens, però, era affezionato a quelle travi a vista tutte rovinate e mangiate dai tarli. Agli albori della sua carriera di scrittore, quello era stato il suo primo e vero alloggio, per quanto modesto. Nelle tre stanze dell’alloggio numero 13 di Furnival’s Inn, aveva conosciuto la propria trasformazione».
Qui Dickens decide di ritrovare sé stesso e l’ ispirazione per riuscire nella stesura del suo celebre Canto di Natale: entrando nell’alloggio numero 13 l’autrice descrive la felicità di Dickens nel ritrovare il suo vecchio scrittoio di betulla: «Fece scorrere la mano sul ripiano sbiadito del vecchio scrittoio, sulle sue scalfitture, i segni delle bruciature, gli aloni rotondi di cera ingiallita. Li conosceva tutti a menadito. Era lì che era nato il suo Boz e sempre lì avevano preso vita molti di quegli Schizzi che avevano saputo farsi strada fino alle case e al cuore dei lettori; e infine Pickwick, che l’avevano catapultato nel firmamento letterario. Venti fascicoli mensili che gli venivano pagati quattordici ghinee l’uno…una cifra che ai tempi gli era sembrata una fortuna. Abbastanza per sposarsi, avere un figlio e traslocare. Quel fiducioso astro nascente non aveva avuto alcuna remora a lasciarsi dietro uno scrittoio che oggi gli sembrava così piccolo e prezioso, ma che ai suoi occhi di allora appariva grande come l’avvenire che gli si spalancava davanti».
Il romanzo di Samantha Silva, un’opera di fantasia in cui l’ordine degli eventi è persino alterato, celebra la vita, i luoghi, le opere di Dickens, rappresentando così un regalo prezioso per tutti gli appassionati lettori. Le libertà che l’autrice si è concessa nascono dal suo amore incondizionato per l’uomo e scrittore che vedeva nel Natale l’occasione necessaria «per riconnetterci con la nostra umanità».
Anche quest’altro libro riesce a cogliere perfettamente la magia di un luogo: https://wwayne.wordpress.com/2022/05/01/il-mio-anno-a-tokyo/. L’hai letto?