Lo Stretto di Messina nei libri di Nadia Terranova

«[…] per me era normale salire su una vettura a Roma, attendere che dal finestrino si vedesse il mare, scendere alla stazione di Villa San Giovanni per tagliare in due lo Stretto nella luce di settembre, gioire delle creste di onde mosse dallo scirocco, accucciarmi sul ponte fra gli sconosciuti che fumavano affacciati al parapetto, scegliere un punto fra Scilla e Cariddi e con gli occhi tenerlo mio per tutta la traversata. La traversata: una ragione per cui valeva la pena tornare», sono queste le prime parole dedicate allo stretto di Messina nel romanzo Addio Fantasmi di Nadia Terranova, entrato nella cinquina finalista del Premio Strega 2019.
9788858429433_0_221_0_75Ho letto questo libro subito dopo aver concluso la lettura di Vicolo dell’Immaginario di Simona Baldelli; si tratta di due romanzi diversi, con due stili diversi, letti, uno dopo l’altro, per motivi diversi; un luogo a cui devo ancora arrivare, la Lisbona di Pessoa e Tabucchi, quella in cui si muove Clelia la protagonista del romanzo di Simona Baldelli. Un luogo del mio passato di studentessa, quando, come tanti calabresi ancora oggi, frequentavo l’Università nella Messina di Nadia Terranova e attraversavo quasi ogni settimana lo Stretto così tanto amato dalla sua protagonista Ida.

È stata una sorpresa, una di quelle meravigliose coincidenze che capitano ai lettori, scoprire che in entrambi i romanzi vi è un Sebastiano scomparso nel nulla, che sembra dover tornare da un momento all’altro: uno arrivare, avvolto nella nebbia, dal fiume Tago, l’altro, chissà, forse emergere dalle acque delle Stretto. Sono fantasmi con cui in entrambi i romanzi bisogna in un certo senso fare i conti. Non desidero però qui approfondire questo aspetto, solo accennarlo per sottolineare la magia di un percorso di lettura che, apparentemente tracciato dal caso, si rivela al lettore l’esatto opposto: i libri si chiamano, ti chiamano, ed ecco realizzarsi, parola dopo parola, il magico incanto della lettura.

Tentando poi di cogliere l’intreccio con i luoghi, mi soffermo nuovamente sullo Stretto di Messina e mi rendo conto, solo adesso che non lo attraverso più, giungendo in Sicilia perlopiù in volo da Bergamo, di come questo luogo, «una fascia liquida e sottile», serbi in sé una magia speciale, nostalgica, malinconica; e i sentimenti di amore e nostalgia per questo mare che separa la Sicilia dal continente, sono espressi al meglio proprio nei libri di Nadia Terranova.

Trovati in due momenti diversi, seppur a breve distanza temporale l’uno dall’altro, Addio9788845296918_0_0_435_75 Fantasmi (Einaudi) e Omero è stato qui (Bompiani) parlano anche, soprattutto, dello Stretto di Messina.

Durante la serata finale del Premio Strega il conduttore ha identificato l’io narrante di Addio Fantasmi con la sua autrice. Nadia Terranova lo ha corretto subito, specificando che la protagonista è Ida e che dunque le vicende narrate non sono autobiografiche; ma, come racconta la stessa autrice,  in comune Ida e Nadia hanno la casa, le riflessioni e i ricordi d’infanzia che questo stretto tratto di vasto mare riesce a indurre in entrambe;

nel romanzo Ida racconta: «I miti dello Stretto erano state le mie favole da bambina, Cola a cui spuntano le pinne per il tempo passato in acqua, Morgana che ammalia i nuotatori quando l’aria è troppo limpida, Scilla e Cariddi, ninfe tramutate in mostri; il mare che separa l’isola dal continente, quella fascia liquida e sottile affollata dalle navi e, un tempo, dalle feluche per la pesca dello spada, un mare insaziabile, reso feroce, dalla calma apparente dei suoi limiti. Non è aperto, pensano turisti e visitatori vedendolo imprigionato fra due lingue di terra; non è aperto e quindi è sicuro e protetto, pensano. Ma ciò che non può estendersi si inabissa senza fine, e i miti sono lì a ricordarlo».

Nadia Terranova è nata a Messina nel 1978 ma adesso, proprio come Ida, vive a Roma. A proposito di ciò, la protagonista del romanzo racconta: «Io, se volevo vivere, quel mare dovevo attraversarlo e non fermarmi: il mio posto non era Scilla, né Cariddi, e forse non esisteva in nessuna carta geografica, di sicuro non era una questione di chilometri. Ecco perché, anni addietro, Roma mi era apparsa la meta più adatta: la città più grande, la più forte, cinta di mura. Dovevo fuggire, entrare a cavallo nell’Urbe come un conquistatore e voltarmi, guardare la Sicilia con la distanza del telescopio e la sicurezza dei rifugiati […] Io ero fatta, in ogni atomo, dell’aria della casa di Messina, e per questo motivo avrei dovuto lasciarla».

Al termine del romanzo Ida riparte da Messina e osserva: «Guardo chi fuma, chi mangia gli arancini, chi bada ai propri figli e chi sta pensando al viaggio, che sia un ritorno o un’andata. Forse, in questa traversata che ho fatto mille volte, per sapere se torno o se parto devo chiedermi se sto viaggiando di spalle o con lo sguardo rivolto alla mia casa: ce n’è una soltanto per ogni vita, come nella saggezza dei suoi vent’anni mi ha fatto notare Nikos. Molte sono quelle che possiamo abitare, una quella che si accende quando sentiamo quella parola, casa. Casa, ripeto fra me, e mi giro verso il continente e Roma che mi aspetta; casa, mi ripeto, ora con lo sguardo all’isola e a Messina che mi dice addio. La mia casa non è nessuna delle due, sta in mezzo a due mari e a due terre. La mia casa è qui, adesso».

Queste sono fra le parole conclusive di Ida circa il suo rapporto con lo Stretto di Messina. Qui l’autrice emerge, è la stessa Nadia Terranova a considerare casa questo tratto di mare, come ha modo di spiegare bene nelle pagine introduttive di Omero è stato qui:

«Soprattutto, so qual è il posto che ho sempre sentito casa. Quel posto è un gran quartiere formato da un’isola e dalla terraferma, da due città e da un mare soltanto, che però è due mari. I due mari si uniscono in mezzo a due terre che invece non si unisono mai, anche se da certe prospettive può sembrare di sì perché sono molto vicine, in un punto distano solo tre chilometri e mezzo l’una dall’altra. Questo mio grande quartiere, di cui fanno parte i palazzi e le navi, le case e le barche, gli esseri umani e i pesci, è lo Stretto. I suoi rioni sono tre: uno è la città di Messina, dove sono nata; il secondo è la città di Reggio Calabria, la mia dirimpettaia; il terzo è l’acqua dove ho nuotato, l’acqua che ho solcato avanti e indietro sulla nave che si chiama Caronte, come il traghettatore del mondo classico che porta i morti negli Inferi (qual è la costa infernale, l’isola o la terraferma? La risposta cambia ogni volta)».

«Ho sempre saputo di essere siciliana e dunque greca, araba, normanna figlia di mille popoli che nei millenni hanno attraversato la mia terra. Ho sempre saputo di essere cresciuta in un luogo ricostruito dopo un grave terremoto e maremoto, dunque pieno di fantasmi che non se ne volevano andare: casa mia è anche casa loro. Ho sempre saputo di vivere in un luogo magico: la punta di un triangolo che si allunga per toccare la punta di uno stivale. Sembra un posto come tanti altri, lo stretto di mare fra Messina e Reggio Calabria, e invece è unico, è un territorio incantato e mitologico, abitato da spettri e giganti, da mostri greci e fate nordiche, da ninfe, nocchieri e sirene di ogni parte del mondo. Le sue coste sono vive, pulsanti. Il mare può essere nero, argenteo, azzurro o verdissimo a seconda delle ore e delle stagioni, abitato per metà da umani, per l’altra metà da creature fantastiche. Io sono stata bambina su quelle sponde: i miti e le leggende che lì ho respirato sono state le mie favole dell’infanzia. Le avevo dentro come l’aria, l’acqua e l’immaginazione».

E così, questi brani, qui proposti, vanno a costituire un ideale ponte fra i due libri di Nadia Terranova che, al contrario di quanto farebbe il celebre ponte sullo Stretto, quello mai realizzato, ci restituisce intatti i sentimenti di profondo amore e di grande rispetto per i propri luoghi.

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